“Non esco spesso perché quando entro in un ristorante da sola mi sembra che per tutti sia insolito e strano, sento gli occhi addosso che si chiedono perché non ho qualcuno e mi vergogno.”
“Mi sento bloccata. Ho paura di rispondere, di dire quello che so perché temo di sbagliare. Cosa penseranno di me se sbaglio? Rivedranno la loro opinione su di me? Cominceranno a pensare che non sono poi così intelligente?”
La mente degli altri e il sé nella loro mente
Da questi frammenti emerge un’idea di come può essere rappresentata la mente degli altri e di come ci si immagina possa essere la rappresentazione di noi nella mente degli altri.
Ciò che emerge è che, in linea generale, la mente degli altri sembra pronta a giudicare, criticare o valutare ed inoltre che, questo tipo di mente, sia percepita come intenzionata a cogliere quelle parti di noi che ci fanno vergognare o perché le riteniamo inadeguate oppure inferiori o anche solo sfortunate.
Queste convinzioni su di sé e sugli altri si accompagnano a vissuti emotivi di ansia, paura, vergogna, tristezza a volte anche di rabbia.
E’ probabile che la strategia comportamentale adottata sia l’evitamento, attraverso il quale si preferisce non esporsi, ritirarsi e ridurre così il rischio di sperimentare situazioni che potrebbero ferire ulteriormente ma anche il blocco inteso come sensazione paralizzante.
Come leggere i processi che legano comportamenti, affettività e pensieri?
Un aspetto immediatamente evidente è una ipersensibilità alla critica e la tendenza, a volte attiva a volte meno consapevole, di evitare quelle situazioni e occasioni in cui si potrebbe rischiare di vivere questo disagio.
La conseguenza è che si possono gradualmente restringere le esperienze fino a limitarsi a quelle già collaudate, prevedibili e senza rischio.
La paura del giudizio è collegata prevalentemente ad una affettività negativa, un misto di vergogna, sentimenti di inadeguatezza e paura del ridicolo.
La paura di essere colti in un momento di vulnerabilità – commettere uno sbaglio, dare una risposta sbagliata, indossare un abito diverso dagli altri – l’angoscia di essere guardati e di leggere negli occhi dell’altro un giudizio di disapprovazione, di non adeguatezza.
Per alcuni di noi un giudizio negativo può rappresentare un evento drammatico quando è accompagnato dal timore di perdere la stima dell’altro.
Sembra consumarsi un conflitto interiore tra una parte di sé vissuta come insicura, fallibile, inadeguata e una parte di sé che desidera essere stimata, considerata, apprezzata.
Solitamente è questa seconda parte che si mostra e che si desidera che gli altri conoscano mentre la parte ritenuta difettosa subisce attacchi attraverso un dialogo interiore critico e svalutante.
Può risultare molto difficile e fonte di profonda sofferenza confrontarsi con aspetti di sé che si ritengono negativi o perché fragili o perché non conformi a quanto ritenuto all’altezza delle aspettative.
La paura della critica e del giudizio tiene la persona in allerta e questo atteggiamento mentale svolge di certo una funzione protettiva in quanto può aiutare a prevenire eventuali critiche ma allo stesso tempo rende faticose molte esperienze.
Sistema della minaccia
Rimanere in uno stato di allerta significa che è attivo il sistema di protezione dalla minaccia, uno dei tre sistemi di regolazione affettiva (Depue e Morrone-Strupinsky, 2005; LeDoux, 1998; Panksepp,1998).
Lo scopo di questo sistema è di individuare tempestivamente potenziali minacce e in modo altrettanto rapido, attivare una risposta di protezione.
L’evoluzione ha favorito la protezione e non la felicità. Quello che sappiamo fare bene è reagire alle minacce per garantire la protezione e non necessariamente questa competenza fa sentire anche felici.
Per l’essere umano i pericoli non riguardano solamente quegli eventi che potrebbero rappresentare minacce all’incolumità fisica, più spesso nella quotidianità le minacce nascono nei contesti interpersonali e si possono comprendere riconoscendo le convinzioni su di sé – non sono capace – oppure le aspettative rispetto a come dovremmo comportarci, riguardo a cosa non dovremmo far vedere agli altri, o ancora con gli standard che dovremmo raggiungere o rappresentare.
Le relazioni in questa logica diventano terreno di confronto con gli altri e ciò che spaventa di più è mostrarci in un momento di vulnerabilità.
Commettere un errore, non dare la risposta giusta, non indossare l’abito adatto alla situazioni potrebbero rappresentare tutte occasioni vissute come pericolose poiché sottostante vi è un confronto/giudizio – sulla capacità, sul valore della persona – e queste situazioni si accompagnano ad esperienze emotive difficili da regolare come la paura, l’ansia, la vergogna, la tristezza e l’umiliazione.
Una risposta possibile è l’evitamento messo in atto anche in modo graduale come un lento ritiro da situazioni sociali o esperienze che rappresentano potenziali rischi di esposizione al giudizio.
Quale aiuto
Il bisogno di connetterci agli altri e di stabilire relazioni nelle quali si sperimentano accettazione e appartenenza sono bisogni fondamentali e concorrono alla necessità di sentirci al sicuro immaginando di ottenere aiuto in caso di bisogno.
Sentirsi accettati favorisce il benessere psichico della persona.
Sperimentare la sensazione di appartenenza e di affiliazione agli altri si accompagna alla sensazione di sicurezza. Ciò che sappiamo dalla ricerca è che la sensazione di sicurezza è correlato a livelli minori di stress, ansia e depressione.
Le esperienze originarie, le relazioni all’interno delle quali siamo cresciuti, possono aver contribuito a costruire nella nostra mente l’idea che l’altro, probabilmente, sarà nei nostri confronti non accogliente e poco comprensivo, condizionando la sensazione di sicurezza nelle relazioni interpersonali.
In un certo senso questa idea sulle menti altrui segue quella che si potrebbe definire una regola di sopravvivenza meglio prevenire che curare o in altri termini meglio mettere le mani avanti e anticipare un possibile rischio piuttosto che sottostimarlo.
E come ci immaginiamo nella mente dell’altro?
Ciò che si teme pensino gli altri di noi, è spesso ciò che si pensa di sé. E questo può essere qualcosa di cui non si è del tutto consapevoli.
Il meccanismo che permette questo è conosciuto come proiezione e quando è attivo ci si trova nella modalità “mente minacciata”.
Questo meccanismo ha una funzione difensiva e ci protegge dal confrontarci e prendere contatto con la sofferenza di una parte di noi che per qualche motivo si ritiene inadeguata.
Primo passo di cura
Un aiuto davvero prezioso è comprendere i fattori che hanno portato una persona a vivere alcuni contesti sociali come territori di confronto dai quali deriva così tanta sofferenza, comprendere le motivazioni che si celano dietro ai comportamenti e alle emozioni che si vivono.
Coltivare la capacità di accettazione e di compassione nei confronti di parti vissute come inadeguate o nei confronti di quelle parti che spingono a non sbagliare a non fallire.
Imparare a regolare o tollerare l’esperienza emotiva negativa, passa attraverso la disponibilità ad accogliere parti di sé sofferenti e vulnerabili invece che rifiutarle come inadeguate o sforzarsi di nasconderle agli altri e a se stessi.
La disponibilità ad accogliere parti di sé ferite o parti di sé difensive e prendersene cura, favorisce il cambiamento anche nel modo di immaginarci nella mente degli altri.
Bibliografia
Vittorio Lingiardi, Arcipelago N Variazioni sul narcisismo Einaudi
A cura di Giovanni Liotti e Fabio Monticelli I sistemi motivazionali nel dialogo clinico, Cortina Editore
Paul Gilbert La terapia focalizzata sulla compassione caratteristiche distintive Franco Angeli