Il comportamento alimentare a volte può attivare un doloroso dialogo interiore attraverso il quale si alternano nella mente, pensieri di critica e vissuti di fallimento.
Questa esperienza è piuttosto familiare per coloro che soffrono della cosiddetta fame emotiva o che si pensano a dieta da sempre.
Per comprendere come si collegano processi psicologici e cibo, è utile ricordare che la nutrizione non risponde solo ad una funzione biologica importante per la sopravvivenza, ma allo stesso tempo, tesse e si innesta su complessi rapporti con il corpo, la mente, le sensazioni e le emozioni.
Vediamo più in particolare alcuni aspetti che possono contribuire a mantenere un dialogo critico nella nostra mente.
Strategia del controllo o della rinuncia
Quando si infrange un limite o una regola alimentare, è probabile che nella mente prenda avvio un dialogo critico.
Accade con maggiore probabilità se si sta adottando uno stile alimentare basato sulla restrizione e sul controllo del cibo.
Questa strategia rappresenta un tentativo di risolvere diversi comportamenti vissuti come problematici nel rapporto con il cibo, individuando come metodo efficace per regolare il comportamento con il cibo, quello di stabilire delle regole.
Ad esempio, si potrebbe vivere come problematica la difficoltà nel gestire la quantità di cibo, oppure la difficoltà a rinunciare ad alcuni cibi particolarmente desiderati perché preferiti o perché giudicati calorici.
Nella scelta di questa strategia, non si riesce a utilizzare la saggezza del corpo attraverso la quale la regolazione del cibo è riconducibile ai segnali di fame e di sazietà e quindi ai segnali che provengono dal corpo in termini di sensazioni.
Sembra così che ad un certo punto si sia perso un riferimento essenziale per il comportamento alimentare, come l’attenzione ai segnali sensoriali e all’attribuzione di un corretto significato.
Pensiero: se cedo, sono debole senza forza di volontà
Ciò che mantiene un dialogo critico si potrebbe sintetizzare con un tipo di pensiero devo/non devo, ad esempio NON DEVO CEDERE/DEVO RESISTERE.
Una categoria di pensiero che rappresenta in fondo un modo per mantenere o raggiungere una buona opinione di sé.
Con questo processo mentale si stabilisce in modo netto e categorico cosa è permesso e cosa è vietato e nel criterio ESSERE STATI IN GRADO DI RESISTERE e/o ESSERE STATI IN GRADO DI RINUNCIARE, si giunge ad una conferma del proprio valore e considerazione.
Tutto procede bene fino a quando si riesce a rispondere alle aspettative che ci si è posti.
Quando questo non accade, allora si potrebbe avviare un dialogo critico attraverso il quale si alternano due versioni di sé: da una parte ci si rimprovera di non essere stati più forti, che si doveva resistere e dall’altra si sperimentano sentimenti di fallimento, di delusione e anche di vergogna per non essere stati in grado di resistere e di dimostrare forza di volontà.
Solitamente dopo questo difficile momento, segue una ripresa di motivazione e di fiducia nella propria capacità di resistere e di controllare.
È infatti una esperienza comune, l’alternarsi ciclico di queste fasi che si potrebbero sintetizzare in questo ordine:
- Fase in cui si riesce a controllare e a rinunciare
- Episodio in cui si cede
- Fase di sofferenza per il dialogo critico che si è attivato
- Ripresa della motivazione e della fiducia nella strategia del controllo e della rinuncia
Si può essere consapevoli dell’esistenza di questo circuito ed essere in grado di riconoscere la successione delle diverse fasi, ma per molte persone la difficoltà è nel trovare dei modi per rompere questo schema.
Quando si inizia ad osservare il proprio comportamento alimentare seguendo il percorso di Mindful Eating, diventa più facile adottare una condotta alimentare slegata dal controllo e dalla rinuncia proprio perché ci si esercita a riconnettersi ai segnali della fame e della sazietà e si impara a valorizzare l’esperienza sensoriale per orientarsi nella scelta del cibo.
Un altro aiuto che può offrire la Mindful Eating è di sviluppare un atteggiamento di curiosità e attenzione riguardo ai propri processi mentali.
Questo permette di comprendere ad esempio cosa stava accadendo nella nostra mente in termini di motivazioni, pensieri, sentimenti che possono restituire un significato diverso al nostro agire in quell’episodio che si è valutato come un fallimento.
Infine, e non poco importante, è poter osservare il proprio dialogo critico non tanto per modificarlo e annullarlo, perché non si possono eliminare aspetti presenti nella nostra esperienza, quanto per poter costruire accanto nuove risorse, un nuovo dialogo capace di sostenere e incoraggiare piuttosto che svalutare.