La nostra mente vaga continuamente a prescindere dalla nostra intenzione e da ciò che sta accadendo.
Sognare ad occhi aperti, immaginare delle situazioni future, rivivere episodi, immaginare una conversazione o ritrovarsi a parlare con sé stessi, sono solo alcuni esempi di una attività costante della mente.
La nostra mente si distrae e si allontana da ciò che sta capitando o, che ci sta impegnando, e sorprendentemente ci si potrebbe ritrovare a pensare, per esempio, ad un fatto capitato qualche giorno prima.
Questo è un fenomeno mentale naturale grazie a quella parte del nostro cervello che si è evoluta più recentemente e che è coinvolta nei processi mentali più complessi come immaginare, pianificare, organizzare, prefigurare, ricordare, riflettere.
Gli autori Beaumont e Chris nel loro lavoro “Il quaderno della compassione” citano i risultati di una interessante ricerca nella quale si ritrova il dato che i nostri pensieri si attestano tra i 12.000 e i 50.000 al giorno.
La sofferenza si presenta nel momento in cui questo vagare della mente e questa ricca produzione di pensieri, assume una forma di autocritica oppure si orienta su uno stile di pensiero dove sono presenti processi come la ruminazione.
La qualità dei contenuti dei pensieri che si affacciano può rappresentare un buon indicatore per comprendere come si sta affrontando una fase della vita o può invece raccontare di un atteggiamento presente da molto più tempo.
Può accadere che siano i pensieri, per i contenuti che li caratterizzano, a suscitare delle emozioni e a condizionare il vissuto emotivo.
È anche vero che in altre circostanze si prova paura o vergogna oppure rabbia e possono essere queste esperienze emotive a risvegliare pensieri dai contenuti congruenti.
Perché accade?
La ruminazione è un processo di pensiero con il quale l’attenzione si focalizza su una certa qualità di contenuti– pensieri sottoforma di critica, di giudizio – in modo ripetitivo e incontrollabile e si accompagna a vissuti di rabbia, di vergogna, di colpa.
La ruminazione può riguardare una riproposizione continua di una esperienza nella quale si è sperimentato disagio e che si ripropone anche in modo continuo alla mente.
Comprendere la funzione del processo mentale della ruminazione può già rappresentare un sollievo, nella misura in cui contribuisce a modificare una possibile convinzione che la presenza di questi pensieri sia segno di un qualche difetto, e questo passaggio può rendere meno probabile lo strutturarsi di un processo svalutativo del sé – ad esempio “non sono capace di stare bene”.
La Compassion-Focused Therapy legge la ruminazione in chiave difensiva, poiché, ad esempio, rivedere continuamente ciò che è andato male, potrebbe rappresentare una strategia per aiutarci a non commettere in futuro lo stesso errore.
Può assolvere la sua funzione difensiva anche quando il processo di ritornare su quanto è accaduto, sembrerebbe utile a ricercare spiegazioni e giustificazioni delle proprie azioni o reazioni, motivati dalla necessità di trovare un po’ di sollievo a stati emotivi di colpa o di vergogna.
Per alcuni la ruminazione diventa un dialogo critico rivolto a sé stessi con il quale si rivedono gli errori commessi, si ragiona applicando un processo controfattuale e anche in questa circostanza è possibile cogliere il senso difensivo del processo.
Immaginare ciò che sarebbe accaduto solo se noi avessimo…, per quanto poco vantaggioso, aiuta a immaginare che in futuro potremmo evitare queste conseguenze.
In alcuni processi mentali, il pensiero controfattuale con il quale si ipotizza al passato “se avessi…invece di… oggi sarebbe diverso”, aiuta la persona ad attribuirsi un certo potere in quelle situazioni nelle quali si è sperimentato un senso di impotenza.
Se si pensa ad una perdita legata ad un incidente, l’evento improvviso lascia profondamente angosciati e la mente cerca nel passato delle spiegazioni alternative, spesso attribuzioni di responsabilità, poiché, si può vedere nella ricerca di attribuzione a sé di comportamenti o di opzioni, il bisogno della persona di contrastare il senso di impotenza e di non senso di fronte ad esperienze drammatiche.
È utile notare come queste narrazioni ipotetiche degli eventi permettano di contenere il senso di angoscia di fronte a ciò che è imprevedibile.
In alcune circostanze può risultare particolarmente doloroso accogliere il pensiero che le cose accadono e che non è possibile sempre evitare oppure anticipare, e che non sempre si ha il potere di modificare gli eventi che semplicemente accadono.
La ruminazione, intesa come processo mentale, si può ritrovare in molte manifestazioni di disagio psicologico o di esperienze di sofferenza: ad esempio nel processo di elaborazione di un lutto o di una perdita, nelle diverse forme ansiose e depressive.
Nel ragionamento fin qui sviluppato, si è attribuita alla ruminazione una funzione difensiva, poiché nel momento in cui la nostra mente percepisce un evento o una situazione come minacciosa o potenzialmente minacciosa, la ruminazione contribuirebbe a mantenere uno stato di allerta/vigilanza così da avviare una serie di azioni con l’obiettivo di trovare una soluzione e di uscire da quello stato di minaccia interna.
Mente minacciata e mente al sicuro: il fattore evoluzione
La mente minacciata attiva una serie di risposte emotive, cognitive e comportamentali che assolvono ad una funzione di difesa, tenendo attivo uno stato di allerta attraverso il quale aumentiamo la probabilità di sopravvivere ad un evento pericoloso.
Nel nostro contesto sociale attuale, questo processo di allerta ci permette di aumentare le probabilità di fronteggiare un evento doloroso o significativamente stressante.
Possediamo un cervello complicato perché frutto dell’evoluzione, e secondo il modello tripartito di MacLean, il cervello si descrive come costituito da parti che hanno origini diverse.
In un modo semplice si potrebbe parlare di cervello antico e di cervello nuovo. Condividiamo con altre specie alcune aree della parte antica del nostro cervello, mentre la parte nuova si può pensare tipicamente umana e spiega le funzioni cognitive più complesse come immaginare, pianificare, riflettere.
La parte antica del nostro cervello comprende una serie di processi legati alle emozioni e alle motivazioni e ai comportamenti difensivi che garantiscono sopravvivenza e riproduzione.
Questi due tipi di cervello devono interagire coordinandosi rispetto alle emozioni e alle motivazioni, dove il cervello nuovo è utile a regolare il cervello antico rispetto alle emozioni alle motivazioni e ai comportamenti difensivi.
Possediamo un cervello complicato perché al momento attuale della nostra evoluzione si trova impegnato a coordinare funzioni antiche e nuove e non sempre è facile per noi umani uscire da questi cortocircuiti emotivi. A volte necessitano tempo, costanza e gentilezza.
Il contributo delle nostre esperienze: il fattore storia
Possiamo leggere il processo della ruminazione anche come un prodotto dell’apprendimento. Possiamo notare che le persone hanno modi diversi di pensare la vita, il futuro e di descrivere sé stessi. Alcuni si potrebbero descrivere come pessimisti, altri ottimisti altri ancora si descriverebbero più propensi a portare attenzione ai problemi piuttosto che alle soluzioni.
Questi diversi atteggiamenti dipendono dalle esperienze che facciamo nel corso della vita e quindi si possono ritenere il risultato di un apprendimento.
Il fatto che questi pensieri non nascono con noi ma si costruiscono grazie o a causa di ciò che affrontiamo crescendo, rappresenta un elemento incoraggiante perché allora è legittimo ritenere che si possa apprendere un atteggiamento mentale diverso che favorisca uno stato mentale che inviti alla calma e infonda uno stato interno di sicurezza.
Può essere un buon primo passo nel processo di cura della sofferenza comprendere che, la qualità dei pensieri dipende da molti fattori e ha diversi significati- funzione difensiva, esperienze apprese – e che se in un dato momento della nostra vita, i contenuti dei pensieri contribuiscono a creare uno stato di sofferenza psicologica, è possibile però apprendere dei modi per portare la nostra mente fuori da una sensazione di pericolo.
L’importanza di coltivare un sentimento di sicurezza
Il concetto di sicurezza può rappresentare il fine del lavoro terapeutico. Lavoro terapeutico inteso come la costruzione di un cammino di cura che permetta alla persona di attraversare uno stato di minaccia, accompagnato da profonda sofferenza psicologica – dolore, solitudine, ansia e rabbia – e di costruire la propria capacità di recuperare uno stato interno di calma e un maggior senso di sicurezza.
Si tratta di un percorso nel quale imparare a dare significato ai processi mentali che mantengono uno stato di sofferenza, di apprendere dei modi per prendersi cura di sé e della propria mente e diventare competenti nel passare da un momento difficile ad uno di ritrovato equilibrio nel quale le nostre funzioni cognitive ci possono aiutare a sentirci maggiormente in grado di pensare quella situazione/evento e di trovare delle soluzioni, se ci sono, e soprattutto di recuperare uno stato interno di calma e di sicurezza.
Bibliografia
Il quaderno della compassione. Una guida passo dopo passo per sviluppare il sé compassionevole. E. Beaumont e C. Irons. Edizioni MINDhelp.
La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive. Paul Gilbert. Edizioni Franco Angeli.